Nel ciclismo è sempre alto il numero dei giovani ritiri

Pubblicato il 1 Novembre 2019 alle 17:05 Autore: Lorenzo Annis
Nel ciclismo è sempre alto il numero dei giovani ritiri

Sappiamo benissimo quanto il ciclismo sia uno sport che richiede tanto sacrificio e tanta dedizione. Molti corridori cominciano la loro avventura in sella un po’ per caso, come avvenuto ad esempio all’uomo del momento Primoz Roglic, che dopo una brutta caduta quando saltava con gli sci ha deciso di cambiare totalmente vita e inforcare la bicicletta con successo, visto anche il 2019 trascorso dallo sloveno.

Per emergere in questo mondo serve sempre qualcosa in più, dalla giusta dose di fortuna fino al talento che, presto o tardi, fuoriesce. Raggiungere il professionismo nel mondo delle ruote a pedali non è però come farlo in altri sport, dove si hanno maggiori garanzie sotto tutti i punti di vista. Qui si deve fare i conti con uno sport nel quale si rischia di rimanere appiedati dall’oggi al domani, senza soluzioni. È quello che capita frequentemente anche in questi ultimi anni, nei quali il ciclismo sta provando a “brandizzarsi” il più possibile anche per poter evitare eventualità del genere.

Ma la verità è che molti corridori sono costretti ad abbandonare i loro sogni troppo presto, decidendo di intraprendere un’altra vita.

Un 2019 ricco di giovani ritiri nel ciclismo

Tenendo conto dei soli circuiti World Tour e Professional, ad oggi si contano almeno una ventina di ciclisti che hanno appeso la bici al chiodo entro i 30/32 anni d’età durante quest’anno. Le motivazioni sono tante: da Kittel che ha lasciato per via delle troppe pressioni ormai facenti parte quotidianamente di questo mondo, a Pantano che ha lasciato complice la squalifica per doping, fino ad arrivare a Moreno Moser il quale, a detta sua, ha preferito non trascinarsi ulteriormente dopo le ultime stagioni non positive. C’è anche chi si ritira per guai fisici come recentemente capitato ad esempio a Nuno Bico e Patrick Muller, entrambi ritiratisi per via di problemi all’arteria iliaca, gli stessi avuti pochi mesi fa anche da Fabio Aru. Ma non sono i soli a lasciare per infortuni.

Altri ancora hanno dovuto fare i conti con il sopracitato appiedamento e la mancanza di un nuovo progetto, che gli avrebbe consentito di ripartire nei prossimi mesi. Infine qualcuno ha lasciato per cambiare totalmente vita, dedicandosi a un nuovo lavoro o anche a riprendere gli studi, magari dopo diverse delusioni arrivate non tanto dai risultati maturati in strada, quanto per vari malumori.

Togliendo gli infortunati, matura il problema sempre più forte di un movimento che, tra il circuito Professional e quello Continental, fa molta fatica. Gli sponsor latitano e spesso le squadre sono costrette a chiudere i battenti, come capitato alla nostra Nippo Vini Fantini soltanto qualche giorno fa. Le ultime riforme dell’UCI inoltre, non hanno fatto altro che tagliare le gambe alle squadre di queste due divisioni.

Cambiare per acquisire credibilità a 360°

Se da un lato il ciclismo sta riuscendo a scacciare via l’ombra del doping che ha attanagliato l’intero circus per decenni, dall’altra, in silenzio, un’altra parte sta morendo senza che i più si accorgano di quanto accada. Nel prossimo futuro serviranno delle azioni concrete da parte di UCI e altre Federazioni, in modo tale che un semplice svincolo da un team non debba portare obbligatoriamente un corridore a ritirarsi, a prescindere dalla carta d’identità e dai risultati maturati negli anni.

Anche perché il ciclismo da molti è considerato lo sport più democratico, ma guardando ai dettagli ci si accorge facilmente questo vale solo per una piccola fetta dell’intero movimento.

L'autore: Lorenzo Annis

Nato il 1° luglio del 1996, è nel Termometro Politico dal 2017. Scrive prevalentemente di sport dividendosi tra pallone e pedali, le sue più grandi passioni sportive.
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