TFR con dimissioni volontarie: spetta oppure no? Le regole da seguire

Pubblicato il 14 Gennaio 2021 alle 11:36 Autore: Claudio Garau

TFR con dimissioni volontarie: spetta oppure no? Le regole da seguire

Il TFR, acronimo di trattamento di fine rapporto, è la prestazione economica che deve essere versata al lavoratore dipendente all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, per qualsiasi motivo detta cessazione si concretizzi. Quindi non soltanto il licenziamento, ma anche le dimissioni o il raggiungimento dell’età della pensione danno diritto all’ottenimento del TFR.

In altre parole, il TFR consiste in un compenso con versamento differito al momento della conclusione dell’esperienza professionale presso un certo datore di lavoro, una sorta di salario posticipato, il cui calcolo segue rigidi criteri.

Qui di seguito vogliamo focalizzarci su una questione specifica in tema TFR, ovvero: come funziona la corresponsione del trattamento in oggetto, in ipotesi di dimissioni volontarie del lavoratore? quali regole seguire? Facciamo il punto.

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TFR e Naspi: attenzione a non confondersi

C’è chi potrebbe pensare, erroneamente, che il TFR non spetti a chi decida, di sua spontanea volontà, di abbandonare l’azienda o il luogo di lavoro presso cui è occupato, perchè ad esempio intende firmare un nuovo contratto di lavoro altrove o perchè vuole trasferirsi all’estero. Infatti, anche in queste circostanze – per legge – il datore di lavoro è tenuto a versare il TFR.

In particolare, non bisogna confondere la normativa del TFR con quella dell’assegno di disoccupazione, chiamato in breve Naspi, di cui abbiamo recentemente parlato diffusamente.

Le regole della Naspi, infatti, non prevedono il diritto all’ottenimento delle somme dovute dall’Inps con l’assegno mensile, laddove l’interessato abbia optato per le dimissioni volontarie, e non sia quindi stato licenziato.

Rimarchiamolo, onde non fare confusione:

  • la Naspi spetta esclusivamente ai lavoratori subordinati che, senza loro iniziativa o volontà, perdono il posto: ci si riferisce ai casi del licenziamento e delle dimissioni per giusta causa, ovvero dovute a motivi che rendono insostenibile la permanenza in azienda (casi di mobbing, demansionamento, mancato pagamento della retribuzione ecc.);
  • il TFR, a differenza dell’assegno di cui sopra, spetta in ogni caso al lavoratore subordinato, indipendentemente dalla causa che ha condotto alla fine del rapporto di lavoro.

Il trattamento va assegnato senza lungaggini

Il punto è dunque che il trattamento di fine rapporto va assegnato sia quando accantonato in specifici fondi, sia quando accantonato in azienda. E va assegnato subito, senza indugio, con una somma corrispondente, all’incirca, ad una mensilità per ogni anno trascorso in azienda alle dipendenze. Facendo un rapido calcolo, un lavoratore che sia stato impiegato per 5 anni presso lo stesso datore di lavoro, avrà diritto nei confronti di questi, al versamento di una somma pari, più o meno, a 5 mensilità di stipendio base.

Abbiamo appena detto che la corresponsione del TFR deve esservi tempestivamente, vale a dire a seguito immediato della formalizzazione delle dimissioni, oggi telematiche. Anzi, l’azienda è tenuta a versare la somma nel suo intero ammontare e non può trovare scuse come ad esempio improvvisi ritardi o intoppi organizzativi; analogamente, non può spingere per la rateizzazione dell’importo, se consistente. Piuttosto, saranno eventuali e liberi accordi tra datore di lavoro e lavoratore a prevedere il versamento in rate, molto spesso preferibile rispetto ad una non breve causa in tribunale contro il datore.

Tuttavia, bisogna puntualizzare che il dipendente non può ricevere l’intero TFR, laddove abbia già chiesto ed ottenuto un anticipo della somma, fino al 70% dell’importo totale, in ipotesi di anzianità lavorativa di almeno 8 anni. Tipico il caso dell’uso dell’anticipo TFR per coprire le spese straordinarie di ambito sanitario per il dipendente o i familiari, o ancora le spese per l’acquisto prima casa.

Ciò ovviamente vale sia per il TFR che scatta a seguito di licenziamento, sia per il trattamento che scatta a seguito di dimissioni volontarie.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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